“Pasqua è voce del verbo “pèsah”, passare.
Non è festa per i residenti,
ma per migratori che si affrettano al viaggio.
Da non credente vedo le persone di fede così,
non impiantate in un centro della loro certezza
ma continuamente in movimento sulle piste.
Chi crede è in cerca di un rinnovo quotidiano dell’energia di credere,
scruta perciò ogni segno di presenza.
Chi crede, insegue, perseguita il creatore costringendolo a manifestarsi.
Perciò vedo chi crede
come uno che sta sempre su uno “pèsah”, passaggio.
Mentre con generosità si attribuisce al non credente
un suo cammino di ricerca,
è piuttosto vero che il non credente è chi non parte mai,
chi non si azzarda nell’altrove assetato del credente.
Ogni volta che è Pasqua,
urto contro la doppia notizia delle scritture sacre,
l’uscita d’Egitto e il patibolo romano della croce piantata sopra Gerusalemme.
Sono due scatti verso l’ignoto.
Il primo è un tuffo nel deserto
per agguantare un’altra terra e una nuova libertà.
Il secondo è il salto mortale oltre il corpo e la vita uccisa,
verso la più integrale resurrezione.
Pasqua/pèsah è sbaraglio prescritto,
unico azzardo sicuro perché affidato alla perfetta fede di giungere.
Inciampo e resto fermo,
il Sinai e il Golgota non sono scalabili da uno come me,
che pure in vita sua ha salito e sale cime celebri e immense.
Restano inaccessibili le alture della fede.
Allora sia Pasqua piena per voi che fabbricate passaggi
dove ci sono muri e sbarramenti,
per voi apertori di brecce,
saltatori di ostacoli,
corrieri a ogni costo,
atleti della parola pace.”
Erri De Luca