Credo di essere stato il primo sacerdote della Diocesi di San Severo ad incontrare Mons. Cesare. Quando fu nominato vescovo di San Severo mi trovavo nella Missione Cattolica Italiana di Kloten come secondo missionario insieme a don Pino Panciera. Insieme a lui decidemmo di partire per incontrarlo. Ci accolse nella parrocchia di S. Lucia in Bergamo e ricordo che mi chiese alcune notizie della diocesi.
“Qual è la montagna più alta che avete lì?”, mi disse.
“Abbiamo il Gargano”, gli risposi.
Poi, non ricordo come, si finì per parlare del motto episcopale che avrebbe scelto e disse sorridendo: “Dür per dürà”.
Solo più in là seppi che si trattava del motto del Battaglione “Edolo” degli Alpini.
Scelse, invece, il motto del 5° Reggimento Alpini dove lui aveva prestato servizio: “Nec videar dum sim”.
Lasciai la Missione di Kloten nel luglio del 1992 e, tornato in diocesi, Mons. Cesare mi affidò alcuni compiti che avrebbero segnato per sempre la mia vita di sacerdote. Ancora oggi, dopo oltre venti anni, vivo il mio sacerdozio portando avanti ciò che Mons. Cesare mi diede da fare. Tra le cose più importanti mi disse che avrei dovuto insegnare Religione in una scuola superiore e che avrei dovuto far nascere un centro giovanile nei locali dell’ex istituto salesiano di San Severo. Nacque così l’Epicentro Giovanile, luogo di aggregazione e di formazione per i giovani soprattutto per quelli che non gravitano intorno alle parrocchie. Si trattava di un’idea innovativa che nasceva dal suo amore profondo per i giovani, tutti i giovani anche quelli lontani. Mi diceva: “La Chiesa è madre e deve preoccuparsi di tutti i suoi figli”.
Ecco cosa mi scrisse nel 2003 in occasione del decennale dell’Epicentro:
“Era un sabato sera d’inverno, il 13 febbraio 1993, quando all’Istituto ex-salesiano ci trovammo per “sognare” il futuro del Centro Giovanile che doveva nascere. Eravamo in 24.
Ciascuno fu invitato a dire uno o più “sogni” che aveva dentro di sé. Io li annotai; erano “sogni” vari, diversi, che avevano in comune una speranza: la speranza che stava per sorgere un qualcosa di bello e di utile per gli adolescenti e i giovani di S. Severo.
Non si parlava ancora di “Epicentro” (il nome fu inventato dopo). Nei “sogni” che annotai il nuovo Centro Giovanile doveva essere:
– un luogo dove ci si incontra, dove si è amici;
– un luogo dove si gioca perché per conoscersi occorre il gioco;
– un luogo con attività ricreative ma anche e, in certi momenti, soprattutto, di donazione, del fare qualcosa per gli altri;
– uno spazio di amicizia e di accoglienza:
– un luogo che offre l’occasione ai giovani di trovare risposte ai problemi esistenziali;
– un luogo che offre proposte pratiche, ad esempio insegnare a suonare la chitarra;
– un luogo dove ci si accoglie, dove si impara a vivere insieme;
– un luogo dove si sta insieme in un modo diverso;
– un luogo di libertà, ove i giovani “creano” quello che loro decidono;
– un luogo dove degli adulti offrono ai giovani delle proposte e delle iniziative educative;
– un luogo ove c’è una comunità educante di giovani e adulti, coordinata e diretta da un prete, col fine di educare giovani e adolescenti al vivere bene, al diventare uomini e donne liberi e responsabili, possibilmente cristiani;
– un luogo con attività di evangelizzazione e di crescita dei giovani, come: scuola di preghiera (personale e comunitaria), educazione all’amore, sport, computer…;
– un luogo con proposte di veri itinerari di fede;
– un luogo con attenzione alle attività in campo sociale: pace, ecologia, politica… E in campo culturale (musica, teatro, cinema);
– un luogo che offre non uno spazio “protetto” ma una “finestra” sulla città e nella chiesa, che promuove una presenza cristiana negli ambienti di vita e l’esercizio della carità verso i poveri”.
Ecco, questo era ed è il programma dell’Epicentro Giovanile e, credo, di essermi attenuto fedelmente ad esso nonostante i miei tanti limiti, le incomprensioni e i continui “esami” cui, sia io sia l’Epicentro, non si sa bene perché, siamo continuamente sottoposti. Sì, sono 22 anni di esami perché alcuni, ieri come oggi, fanno fatica a riconoscere anche nell’Epicentro il volto della Chiesa. Ma le linee guida non cambieranno né saranno stravolte: rimarranno quelle delle origini, quelle di don Cesare.
Mi sostenne sempre in questo impegno che, soprattutto agli inizi, non fu affatto facile. Amava stare con i giovani. Con loro il suo fare, solo apparentemente austero, diventava confidenziale, gioioso, espansivo. Come non ricordare i pellegrinaggi a piedi con lui in prima fila con il suo passo spedito e il bastone in mano, i momenti di preghiera per i giovani durante l’Avvento e la Quaresima e tante, tante altre iniziative che crearono nella nostra diocesi un entusiasmo straordinario. I giovani sentivano di aver trovato un padre, una guida forte e dolce allo stesso tempo.
All’epoca io ero un giovane prete e ogni volta che lui scriveva qualcosa per i giovani, per esempio in occasione del Natale o della Pasqua, mi faceva leggere quanto aveva scritto dicendomi: “Nico, vedi se è comprensibile per il tuo popolo. Se c’è da cambiare qualcosa, cambiala”. Voleva parlare al cuore di giovani e non voleva correre il rischio di non essere compreso. Non ricordo di aver mai corretto nulla di quanto scriveva ma rimasi profondamente colpito da questa sua grande umiltà.
Fu trasferito a Parma ma continuammo a sentirci. Ogni tanto gli telefonavo, gli raccontavo qualcosa dell’Epicentro Giovanile e della mia vita. Il 20 novembre 2008 gli inviai una lettera con alcune foto dei ragazzi, dei miei viaggi con i giovani in Benin nella missione che lui aveva voluto:
“Carissimo don Cesare,
dopo la nostra telefonata ho pensato di inviarti alcune foto dei ragazzi e dell’Epicentro. Noterai qualche cambiamento rispetto al passato ma la tua foto è ancora al suo posto. La gran parte dei ragazzi che frequentano ora il centro non ti hanno conosciuto ma io parlo spesso a loro di te e della straordinaria intuizione che hai avuto pensando al centro giovanile.
Qualche settimana fa mi sono riletto un po’ la tua lettera pastorale “Cristo speranza dei giovani”: è ancora molto attuale ed ho proposto ai ragazzi di leggerne qualche brano durante il nostro incontro settimanale.
Mi farebbe tanto piacere rivederti e chissà se prima o poi non capiterà.
Ti saluto con tanto affetto e gratitudine per tutto ciò che hai dato a me, ai giovani e alla nostra diocesi.
In unione di preghiere”.
Non mi rispose. Qualche tempo dopo decisi di chiamarlo: fu l’ultima volta. Con un filo di voce mi disse: “Nico ho qui sulla mia scrivania la tua lettera con le foto ma non ho la forza per risponderti”. Parlammo come sempre dell’Epicentro, dei giovani…
Poi alla fine gli dissi: “Don Cesare tieni duro! Ricorda: dür per dürà!”.
“Sì, Nico, dür per dürà!”, mi rispose con tutta l’energia che gli era rimasta.
Ci lasciammo così, come quando ci eravamo incontrati la prima volta… Dopo non molti giorni Mons. Cesare era in Paradiso.