“Caro amico ti scrivo…”;
è con questa frase del grande Lucio che inizio questa breve lettera di ringraziamento per celebrare i tuoi primi Trent’anni di servizio caro Epicentro e per raccontare, a chi vorrà leggerla, la mia breve ma intensa parentesi di vita passata con te.
La mia è una delle tante storie di ragazzi che sono passati tra le mura dei “salesiani” e che ti guardano con immenso senso di gratitudine per quanto GRATUITAMENTE ricevuto. Anno 2002, ho 12 anni e con un outfit stile rapper mi intrufolo nella prima stanza a destra, che ha la fama di essere uno di quei posti in cui imparare la nobile arte del “ballo hip hop”. Passa mezz’ora e vengo intercettato da un uomo dallo sguardo determinato e risoluto che senza neanche un ciao mi fa “hai compiuto 14 anni?” ed io “certo il mese scorso” lui controbatte “sì come no… qui si può entrare a 14 anni, devi andare via!” – fine dei giochi. Giro i tacchi, bofonchio le peggiori parolacce verso quello che mi ha cacciato e vado via.
Passa molto poco, anno 2004 e stavolta il motivo dell’ingresso in quel corridoio è perché gira voce che c’è il ping pong e il biliardino gratis – perfetto direi -. Entro nella prima porta a sinistra e mi ritrovo quello davanti. Ovviamente non si ricorda minimamente di me, chiedo della pallina da ping pong, sgancio i 50 centesimi per la caparra in caso di rottura ed inaspettatamente mi fa “alle 20 però c’è la riunione settimanale quindi riporta la pallina prima di quell’ora”. Il tempo passa velocemente quando ci si diverte nell’ultima stanza a sinistra ed in un batter d’occhio arriva l’ora X e con essa la famosa riunione. BOOM ed ecco che la Provvidenza entra in scena nel film della mia vita. Mi siedo nel rituale cerchio di sedie proprio di fronte a quello ma stavolta il suo tono non è freddo e distante ma, al contrario, amorevole, paterno, quasi dolce. Si parla di questa famosa “Via Crucis” in programma da lì ad una settimana in un bosco nei dintorni di San Marco in Lamis in occasione del Venerdì Santo. Comincia ad indicare con il dito teso il primo seduto alla sua sinistra. “Tu vieni?” chiede gentilmente ma decisamente. L’altro si prende un attimo per riflettere e gli risponde. “A che ora si parte?”. Quello sorride e risponde “Alle 8.00!”. Il povero “indicato” aggrotta la fronte e taglia il discorso dicendo “È troppo presto e non so se riesco a svegliarmi visto che non si va neanche a scuola”. Il dito inquisitore non ha parole per commentare questa affermazione e preferisce continuare la sua corsa che, dopo qualche adesione e qualche insensata scusa, si pone proprio dritto su di me. “Tu vieni?” tuona imperioso. “Perché no?!” gli rispondo convinto.
Cristo flagellato alla colonna e la Madonna Addolorata si incontrano puntuali a Piazza Castello come tutti gli anni e con la stessa puntualità mi reco nel cortile dell’Epicentro pronto per questa nuova esperienza. Delle pratiche religiose lungo le varie tappe ricordo poco ma ho chiara memoria della felicità che si assapora in quel gruppo di ragazzi che fa una cosa che io considero tanto bacchettona – la Via Crucis – in un modo totalmente… diverso. Ancora non ne ho contezza in quel momento ma la maggior parte delle persone presenti quella mattina e che vedo nella foto che ho adesso sotto gli occhi, diventerà presto il mio personale esempio da seguire ed emulare. Da quel giorno passo da semplice frequentatore occasionale ad assiduo partecipante alle attività organizzate da quello.
L’Epicentro Giovanile può essere paragonato al gruppo di cerchi concentrici che si crea lanciando un sassolino in acqua. Il cerchio più esterno rappresenta tutti quelli che passano come meteore, quelli che vengono il primo giorno a giocare a biliardino, il secondo a giocare a ping pong ma che poi spariscono prendendo altre strade. Man mano che si va verso il centro questo gruppo si riduce in numerico ma aumenta in termini di coesione ed affiatamento. I ragazzi e le ragazze che lo compongono compiono un cammino di crescita formativa lento ma intenso ed il loro modo di fare è improntato alla frugalità, alla semplicità, alla pienezza delle relazioni, a quell’essenziale… che è invisibile agli occhi. Ed è anche grazie a loro che, per una serie di vicissitudini, il mio cammino ha incontrato quello della donna che ha accompagnato la mia adolescenza e che ha dato senso alla mia vita dando alla luce le nostre splendide bambine, mia moglie Annalisa.
L’Epicentro rappresenta quel luogo segreto e profondo che ogni adolescente, anche senza rendersene conto, cerca instancabilmente, quel luogo in cui il desiderio di essere ascoltati, veramente ed appassionatamente diventa reale. È un luogo sacro dove le voci degli adolescenti risuonano con una risonanza straordinaria e dove si costruisce un legame indelebile tra generazioni, fondato sulla fiducia e sulla comprensione reciproca. Questo è il modo di educare che io chiamo “modello Epicentro”.
A questo punto del racconto penso sia doveroso svelare l’identità di quello che fa da collante a tutta questa magia, quel sacerdote sui generis che con il suo temperamento ed il suo modo di fare, forgia il “modello Epicentro”. Don Nico per me rappresenta la Chiesa come tutti dovrebbero conoscerla ed innamorarsene, è il mio padre spirituale e ringrazio la famosa Provvidenza sopracitata per avermi fatto incontrare questo gigante di moralità, faro di speranza ed esempio illuminante per tutti i giovani di San Severo.
“[…] Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia […]”. Credo che questa parabola sintetizzi pienamente ciò che è stato seminato da Don Nico nell’orto della mia vita e durante la quotidianità di quegli anni.
Scrivo ed il cuore mi si riempie di gioia a ripensare alle emozioni che si vivevano durante quegli anni ed alle tante esperienze che mi ha dato la possibilità di vivere. Il momento del “silenzio” durante i mensili ritiri spirituali, i campi scuola che volevo non terminassero mai e dai quali si ritornava ancora più affiatati, il viaggio in cui sono stato accolto dalla comunità italiana in Svizzera e quello ancora più immersivo presso la missione diocesana di Wansokou in Benin.
Scrivo ed al contempo mi arrabbio a pensare a tutte quelle volte che il seme GRATUITAMENTE lanciato da don Nico non raggiungeva quei cuori sordi che, per pigrizia o svogliatezza, preferivano riempire le loro giornate con inutili perdite di tempo.
Caro Epicentro Giovanile e caro don Nico, concludo ringraziandovi di vero cuore per esserci semplicemente SEMPRE STATI e sfrutto anche l’occasione per lanciare un messaggio alle prossime generazioni che varcheranno quel portone: lasciatevi abbracciare dalla radiante Luce di questa straordinaria comunità e, ancor più importante, diventate voi stessi quella Luce e il faro di ispirazione per chi verrà dopo di voi.
Con profonda gratitudine ed affetto,
Luigi Nardella